Autore, cantautore Marco Turriziani vanta una solida formazione accademica che completa ed impreziosisce uno spontaneo e precoce approccio con la musica. La sua carriera artistica spazia infatti nei generi e nelle esperienze rivelando una forte ecletticità sia come compositore che come musicista. Diplomato in contrabbasso al Conservatorio, inizia a collaborare con diverse formazioni orchestrali e da camera; negli stessi anni si esibisce con la formazione “Latte e i suoi derivati” dove si esprime con un suono decisamente rock. Con Lillo & Greg partecipa a diversi programmi TV: la prima edizione de “Le Iene”, “Generazione X”. Si intitola STRANIERO, il nuovo album di Marco Turriziani. Un ritorno da autore, a sei anni dal suo prima lavoro solista, in cui l’ex Latte e i suoi Derivati ci offre con raffinata originalità un suo sguardo sul mondo. Dodici tracce dalle tinte accese in cui non mancano però le sfumature pastello di racconti poetici ed immaginifici. L’artista romano graffia ed accarezza con parole e note alternando con misura ironia ed irriverenza, da sempre la sua cifra personalissima. Dall’intellettuale avvitato in pensieri distanti di Leggerezza, al politico corrotto di Bugiardo, un richiamo senza retorica a chi ha mandato allo sbando il Paese. Gioca quindi divertito e amaro ne L’aspirante angelo, diventando lui stesso straniero al pari d’uno degli esuli di cui traboccano i barconi in cerca di riparo a Lampedusa. Satira di un’Italia che presenta il conto dei grandi splendori”, motivo che ritorna anche in un verso de Il paese che non c’è La tavolozza dei suoi colori si fa quindi acidula in Io odio tutti! e Yuri. Inni, disincantati dai toni forti e dei tratti netti che rimarcano la durezza del vivere e la crudezza del sopravvivere nella necessità di resistere. Necessità che diviene fuga onirica dal cubicolo delle pareti della cella di un carcere, in Sogno la mia bella. Le note ci riconducono quindi vorticosamente alle radici del musicista, il rock, che con una pennellata di acrilico in I miei giocattoli, svela un animo lirico e introspettivo. Poi, come in un piano sequenza, lascia che le similitudini di Passo lento scorrano in una bolla di silenzio tra i rumori del mondo. Rompe la tensione con un certo gusto psichedelico il nuovo singolo Vai, in cui incita ad accelerare “per perdere di vista almeno i guai”. Infine, il viaggio di un povero Cristo chiude il cerchio di questo cammino da Straniero nella sua terra. La danza conclusiva di Un valzer da quaggiù, piccoli passi di tre quarti di un redivivo Gesù, fa davvero sperare che tutto cambi. L’album, testimonia le enormi possibilità di sintesi artistica, le situazioni sonore di estrema lucidità, il dipanarsi coerente della trama musicale che non vuole ricorrere a soluzioni ormai logore, al contrario, invece, le melodie s’intridono in percorsi di sperimentazione varia ma mai eccessiva. È ancora una volta un album “suonato”, ancorché minimalista. Non ritroviamo più gli accompagnamenti bandistici degli Orchestrani, apparsi nel primo album, eppure si scorge quell’atmosfera corale dei buoni dischi fatti di musica e di musicisti. I sei anni che lo separano da Bastava che ci capissimo io e i miei sono stati fruttuosi. Una lunga pausa in cui il cantautore romano ha portato avanti altri progetti da autore: tanta musica dal vivo e tanto teatro. Le canzoni, che scorrono con buon ritmo, fanno sognare un’indigestione di felicità a chi si lascia andare ascoltandole.